Storia di un emigrante: Liborio Pedone
Mi chiamo Antonino Pedone, i più, tuttavia, mi chiamano Nino. Questo è solo un dettaglio in quanto non è di me che voglio parlare bensì di mio padre, Liborio Pedone. E’ nato qui a Castellammare del Golfo il 5 Maggio del 1889 e qui deceduto il 16/04/1976.
Siamo dopo circa trentanni dall’unità d’Italia, nel pieno di una crisi economica, sociale, culturale, e chi più ne ha più ne metta. Era il primo di otto figli, quattro maschi e quattro femmine, qui elencati in ordine secondo la loro data di nascita: Giuseppa, chiamata Pippina (n.29/03/1891 – m. 01/08/1955), Antonina, chiamata ‘Ntunicchia (n. 12/06/1893 – m. 18/06/1948), Antonino, detto Ninu (n. 14/12/1895 – m. 04/07/1918), Domenico, detto Minicu (n. 22/06/1900 – emigrato in altro comune in data 21/02/1936), Leonardo, detto Nardu (n. 19/01/1903 – emigrato a Rosignano Marittimo (LI) il 19/05/1948), Margherita (n. 08/06/1906 – m. 17/07/1951) e, infine, Francesca, detta Ciccia (n. 10/12/1908 – m. 20/03/1992). Sono tutti nati a Castellammare. Mio zio Ninu è deceduto a Monte Canone – Valstagna, teatro di guerra.
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Mio nonno si chiamava Antonino Pedone, proprio come me, è nato a Castellammare del Golfo il 24/07/1863, faceva il coltivatore diretto, ivi è deceduto il 04/12/1938; mia nonna, Francesca Scarcella, casalinga, nata anche lei a Castellammare il 18/03/1869 ed ivi è morta il 27/02/1956.
Su mio padre, specie dei suoi primi anni di vita, conosco ben poco.
Come dicevo prima, erano certamente tempi difficili. Il lavoro prevalentemente agricolo era quello più diffuso a Castellammare, oltre la marineria. Ma anche quest’ultima categoria non se la passava molto bene.
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Immagino che queste considerazioni siano alla base della decisione che mio padre prese: partire, lasciare la sua terra , dare una svolta alla sua vita, cercare altrove ciò che qui non avrebbe mai potuto trovare.
Aveva 18 anni e sentiva gravare sulle sue spalle tutto il peso di una responsabilità familiare che esigeva risposte certe e non tentennamenti costanti e deleteri. Essendo il maggiore dei fratelli, come si usava a quei tempi, era in un certo senso ancor più impegnato nel soddisfacimento dei bisogni della sua famiglia d’appartenenza. Riempi con quattro stracci la classica valigia di cartone, la legò con la tradizionale corda nei quattro lati e partì.
Anche lui, come migliaia e migliaia di siciliani, e Castellammaresi in modo principale, partì alla scoperta dell’America, la terra dei sogni da realizzare, la terra promessa che assicurava, almeno nelle aspettative, quella dignità di uomo, di persona, di essere umano.
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Ebbi la certezza del suo arrivo a New York allorché consultai quel lungo registro degli emigrati che la legge americana imponeva fossero registrati al loro arrivo. Lo feci andando sul sito Ellis Island, così come mi avevano consigliato e lessi il suo nome. Era l’anno 1907.
Fu per me un colpo al cuore, un’emozione unica, una traccia eloquente di una storia tutta da capire, da scoprire e, forse, da riscrivere. Era mio padre, insieme a migliaia di altri per me sconosciuti.
Avrei voluto immaginare il suo stato d’animo appena messo piede in terra americana, avrei voluto capire cosa poteva circolare all’interno della sua mente, quali erano i suoi pensieri in quel momento e se finalmente si fosse sentito libero, oppure se si sentiva ancora prigioniero di quella responsabilità che lo ha convinto a partire.
Seppi da adulto che l’America per lui fu solo lavoro, pesante, estenuante, senza fiato, sempre ad inseguire quella felicità che avvertiva urgente e che, tuttavia, andava via via scemando. Ho saputo, infatti, che lavorò duramente per una compagnia americana che si occupava di costruzioni di strade ferrate, ma non seppi mai per quanto tempo durò questa sua attività, o ebbe altre esperienze lavorative.
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Nel dicembre 1909 ricevette la cartolina italiana di “richiamo alle armi”. Si prese una buona pausa di riflessione e la sua vita da emigrante la interruppe verso la metà di Settembre del 1912. Immagino che per questo ritardo le autorità militari lo considerarono “renitente alla leva”. Chi sa quanti ricevettero questo invito oltre oceano, chi sa quanti hanno aderito oppure no. In fondo erano distanti migliaia di chilometri dall’Italia, erano già “liberi” dalle pastoie burocratiche e amministrative e non rischiavano granché in caso di loro diniego o “silenzio”.
Ma mio padre era così, diverso, “pazzo”, imprevedibile e ….. decise di ritornare.
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Fu aggregato nella classe di leva del 1892 e il 28 Settembre 1912 venne mandato presso il 12° reggimento fanteria. Non sono certo se da questa data mio padre dimenticò la sua precedente vita, ma ho la certezza che ne iniziò un’altra ancora. Da qui in poi Liborio Pedone diviene un militare, devoto allo Stato e osservante dei suoi doveri.
Le fasi preliminari alla prima grande guerra, furono così scandite: 14 Marzo 1913 – Si imbarcò volontario a Napoli con l’11° reggimento per la Tripolitania e la Cirenaica. Ivi prese parte alla guerra italo-turca. Mi raccontò di spaventosi disagi, ai limiti della sopravvivenza; 07 Giugno 1913 – Ammalato rientrò in Italia dove si fregiò della medaglia commemorativa della guerra italo-turca; 31 Ottobre 1913 – Avanzato al grado di Caporale nel 12° reggimento fanteria, il 1° Gennaio 1915 fu trattenuto alle armi col grado di Caporal Maggiore, mentre l’8 Giugno è giunto in territorio dichiarato in stato di guerra. Dieci giorni dopo fu promosso Sergente.
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Durante la guerra ebbe modo di distinguersi per il suo valore anche umano oltre che militare. Un Capitano raccontò che il 20 Novembre 1915, Sergente della 237° compagnia mitraglieri, mentre era al comando di alcuni soldati, gli sentì dire: “avanti picciotti chi l’austriaci scappanu”. Purtroppo in quella battaglia fu colpito ad una spalla e dovette ritirarsi in convalescenza per trenta giorni. Dopo poco più di un mese questa sua azione gli valse la promozione a Sergente Maggiore per merito di guerra.
Nel Maggio 2017 fu Maresciallo nel 77° reggimento fanteria e nel giugno successivo partecipò alla decima sanguinosa battaglia di Isonzo. Ci furono perdite altissime e rimase, da Maresciallo, a comandare la compagnia al fronte per oltre 40 giorni, respingendo gli attacchi nemici con perizia e valore. La circostanza fu considerata una buona occasione per il Colonnello che gli propose l’avanzamento a Tenente e quindi l’entrata nel rango degli ufficiali. Mio padre rifiutò asserendo che: "… essendo un quasi analfabeta (aveva la prima elementare) non mi sentirei a mio agio nelle riunioni di ufficiali e nel confronto con gli stessi". Fu comunque promosso Maresciallo Maggiore – aiutante di battaglia.
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Altri importanti aneddoti mi furono raccontati da mio padre, molti dei quali particolarmente toccanti. Lui era così, umile, schietto, sincero, concreto, e questo fu il bagaglio ereditario che mi lasciò per sempre.
L’epilogo di questa storia, che mi riservo di approfondire in altra sede, ha dell’incredibile. Infatti, presumibilmente nei primi mesi del 1917 in paese circolò voce sulla caduta del Maresciallo Pedone. Pur senza conferma e certezza la famiglia lo pianse per morto. Dopo circa un anno pervenne una lettera ufficiale da parte del Ministero della guerra con la quale si informava la famiglia della prigionia di mio padre in territorio tedesco. Non possiamo non immaginare la gioia, anche perché, sebbene con difficoltà, è stata ripresa una certa corrispondenza epistolare.
Rimise piede a Castellammare del Golfo il 13 Agosto 1919, passo dal barbiere per rendersi più presentabile. Lì apprese con dolore della dipartita della sua fidanzata, segnandolo profondamente nell’animo per tutta la sua vita, sebbene successivamente sposato con mia madre, Vincenzina Cannone. La sposò che aveva trentadue anni, undici in più di lei, ed era il 1921.
Come invalido di guerra, rinunciò alle sue prerogative (tra le altre, un posto di lavoro nella pubblica amministrazione) e tornò a fare prima il contadino, poi il carrettiere e, per finire, il commerciante di generi alimentari in Via Trento, ad angolo dell’odierna via Marconi.
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Ed ora, in conclusione, vorrei riportare il testo di una lettera che mio padre scrisse, presumo al Sindaco di Castellammare, che testimonia l’attaccamento ai vecchi principi familiari …(così come è effettivamente scritta da un uomo che aveva appena la prima elementare).
5 -10 -17
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Prego la signoria vostra
d’informare il Comando del 75°
Fanteria 2° Battaglione reparto salmerie
perché mio fratello cioè Pedone Antonino
non lo mandano in licenza trovandosi
in detto reggimento dal Marzo del 16
e non ha sufluito la licenza invernale
esclusa quella del Febbraio del 16.
Forse la signoria vostra conoscerà anche
mio padre Pedone Antonino.
Prego volersi interessare che mio fratello
non fa come tanti che vengono e
rimangono.
Mi scuso che mi ho permesso a
scrivere così sfacciatamente.
Termino con un saluto a tutto
il nostro caro paese e alla signoria
vostra specialmente.
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(firma) Pedone Liborio
Maresciallo nel 127°Fanteria 237° compagnia
mitragliatrice 2° Battaglione
Zona di guerra
Auguri
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Devo dire, ad onor del vero, che nessun seguito ebbe la missiva. Mio zio Antonino cadde in guerra nove mesi dopo a Valstagna, già comune autonomo in provincia di Vicenza, il 4 Luglio del 1918.
Castellammare del Golfo, 20 Febbraio 2020
Antonino Pedone