Storia di un emigrante:
Michele Rizzo
Mi chiamo LENNY RIZZO e ho il piacere di raccontarvi la lunga storia di emigrazione della mia
famiglia d’origine. Tutto ebbe inizio con la nonna materna, Pietra Gioia, nata a Castellammare
del Golfo nel 1891, e che fu mandata a New York come domestica indenturata nel 1909, a soli
diciassette anni. La “servitù indenturata” era un sistema di lavoro volontario, in base al quale i
giovani pagavano il loro viaggio nel Nuovo Mondo, lavorando gratis per un datore di lavoro per
un certo numero di anni. Ero già adolescente quando capii bene la sua sconvolgente
esperienza di vita iniziata troppo presto. Ero molto legato a lei e in famiglia si sapeva bene ciò
che le era successo.
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Ecco la storia, così come mi venne raccontata. Quando morì suo padre, nel 1909, lasciò al solo
figlio maggiore un terreno con un vasto uliveto di famiglia. Per quei tempi rappresentava una
bella proprietà. Sia mia nonna che gli altri fratelli e sorelle furono estromessi dall’eredità e
allontanati dal fratello maggiore, ormai proprietario del terreno.
Si viveva di stenti e la sopravvivenza era l’unico obiettivo che quotidianamente si perseguiva.
Fu per questo motivo che la famiglia decise di vendere, quella che sarebbe diventata mia
nonna, in servitù indenturata, per pagarsi il suo viaggio in America. Era poco più di una
ragazzina. Il contratto, durato quattro anni, fu risolto e portato a termine a New York. Qualche
anno dopo la scadenza, ormai libera, sposò mio nonno, Giuseppe Tarantola, anch'egli di
Castellammare Del Golfo, e anch’egli emigrato in America. Nel 1969 morì mio nonno e lei
sopravvisse a sei dei suoi otto figli, morendo nel 1989 alla veneranda età di novantotto anni.
So per certo che mia nonna non perdonò mai la sua famiglia per quello che le fece e, per
questo, li considerava morti e sepolti.
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Nel 1973 tornai a Castellammare con mio padre e fu l’occasione per conoscere non solo il mio
paese d’origine, ma anche la famiglia Gioia. Andammo, così, a trovare la sorella maggiore di
mia nonna, con l’unico scopo di poter avere un contatto con una parte della mia famiglia. Lei,
però, non fu per nulla gentile con noi. Pensava, probabilmente, che fossimo tornati in Sicilia
per vendicare ciò che la famiglia aveva fatto a mia nonna. Non mi sorprese, quindi, la reazione
della sorella quando ci vide.
Ma se la storia della nonna materna ci offre uno spaccato della povertà in cui si viveva nei
primi del ‘900 nella nostra cittadina, la storia che più mi tocca e che voglio raccontare, è quella
di Michele Rizzo, mio padre, nato il 18 giugno 1933.
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I miei nonni paterni, Virgilio Francesca e Rizzo Leonardo, erano emigrati negli Stati Uniti nel
1919, in cerca di una vita migliore, subito dopo la prima grande guerra. Gli stenti e le
privazioni erano pane quotidiano e da qui la dolorosa decisione di lasciare l’amata terra di
Sicilia in cerca di fortuna, di dignità, di lavoro, di futuro. Erano giovani, forti e volenterosi, e
avrebbero iniziato una nuova vita nelle Americhe, dove già tante famiglie li avevano preceduti.
La realtà, tuttavia, spesso non coincide con la fantasia, e mia nonna Francesca vi si scontrò
subito. Non amò mai New York, ebbe difficoltà di adattamento, tutto era tremendamente
diverso da come lo aveva immaginato, odiava tutto di quella città, la trovava sporca, troppo
affollata e caotica. Vivere lì, per lei, fu un vero tormento.
Per questo motivo, dopo quattordici anni di permanenza in terra straniera, l’intera famiglia fece ritorno a Castellammare del Golfo, a casa. Erano i primi mesi dell’anno 1933 e mia nonna era incinta di mio padre.
Ma la povertà fece prendere loro un’altra decisione... sarebbe ritornato a New York l’anno
successivo solo mio nonno. La nonna rimase sola nel paesello a crescere i figli. Mio padre non
aveva ancora compiuto un anno. Mio nonno avrebbe sostenuto economicamente la sua
famiglia a Castellammare, lavorando in America e facendo delle rimesse periodiche.
Tali rimesse, tuttavia, si interruppero quando gli Stati Uniti entrarono in guerra. Mia nonna,
mio ​​padre e mia zia Pasqua, affettuosamente chiamata Pasqualina, erano stremati e ridotti alla
fame. Nel 1943 i tedeschi occuparono la Sicilia e non fu un periodo facile. Mio padre mi
raccontava spesso della paura delle reazioni dei soldati tedeschi e delle loro malefatte.
So per certo, per esempio, che mia nonna nascondeva mia zia Pasqua, ragazzina, ogni volta che i
soldati tedeschi erano in giro.
Sopravvissero a pane e cipolle, bevendo il latte di una capra che stavano allevando. Un giorno,
inaspettatamente, notarono che i tedeschi stavano lasciando la zona dove vivevano e
bivaccavano. Due giorni dopo arrivarono gli americani e cessarono tutti i combattimenti intorno
a Castellammare. Dagli americani ricevettero della cioccolata e del cibo in scatola.
Finita la guerra, mio ​​nonno volle che mio padre lo raggiungesse in America, e poiché alla
nascita lo aveva registrato come cittadino americano, gli fu facile inviargli un passaporto
americano. Arrivò a New York nell’agosto del 1947, aveva appena compiuto quattordici anni e
conobbe finalmente suo padre. Mia zia Pasqualina, che non era stata naturalizzata negli Stati
Uniti, ebbe più difficoltà a ottenere il passaporto e raggiunse il fratello e il padre a New York
solo più tardi.
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Il ragazzino, Michele, fu inserito a scuola e frequentò per poco tempo una classe bilingue a
New York. Per la prima volta sentì parlare altri bambini cinesi e pensò che stessero parlando la
lingua americana. Ai suoi compagni di classe, anche loro italiani, diceva “se quello è inglese,
non sarò mai così bravo da poterlo imparare e parlare”. Così sconfortato lasciò la scuola e a
diciassette anni fece domanda per arruolarsi nella Marina Americana.
Nel 1952 fu mandato in missione in Algeria, dove fu decorato con una medaglia al valore, per
aver salvato la nave e l’intero equipaggio da un attacco di terroristi che avrebbero voluto rapire
il comandante per chiederne il riscatto. Aveva solo diciotto anni e questo episodio condizionò
molto la sua vita.
Continuò a lavorare sulle navi ancora per molti anni e prestò servizio anche nella guerra di
Corea, dove guidò le imbarcazioni che trasportavano le truppe fino sulle spiagge, sotto il fuoco
nemico. Ricevette anche una medaglia per quel servizio.
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Lenny Rizzo
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Commento dell’Associazione Kernos – Promozione del Territorio
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Questa di Michele Rizzo e della sua famiglia d’origine, è una storia di emigrazione lunga e
complessa: lunga perché ci da uno spaccato di storia di oltre un secolo, facendoci rivivere
situazioni estreme di “bisogno”; complessa perché ci conduce attraverso un lavorio interiore
fatto di emozioni e sentimenti familiari molto particolari. Vogliamo ringraziare il figlio, Lenny,
per averci consentito di viverla più da vicino e con lui ci scusiamo per la sintesi che abbiamo
dovuto imporci. Lenny, nonostante sia praticamente sempre vissuto in America, continua ad
avere un rapporto quasi viscerale nei confronti di Castellammare e il suo attaccamento alla
storia e alle origini è veramente commovente. Conserveremo tra i nostri documenti la storia di
Michele in forma più completa e ampia, nella speranza di poterne dare in seguito il giusto
risalto.
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Rosaria Vitale
Presidente Ass. KERNOS