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...e bere il vino dall'otre caprino!

Aggiornamento: 23 gen 2021

Oggi vogliamo riportare alla memoria un vecchio strumento usato dai nostri padri per il trasporto dei liquidi: l’Otre. Veniva usato fino allo scorso secolo e ancora oggi nei Paesi in via di sviluppo. In lingua siciliana era detto "utru" (da notare l'assonanza con utero, con cui condivide l'etimologia) e veniva realizzato con la pelle di pecora o capra; la pelle di capra, tuttavia, risultava più capiente.

La realizzazione dell'Otre iniziava dallo scuoiamento dell'animale e questo, rigorosamente iniziando dalla zampa posteriore. In questo modo l’intero corpo dell’animale aveva lo spazio sufficiente per uscire senza compromettere l’integrità della pelle.

Questa veniva depilata sommariamente, salata e messa al sole fino a completa maturazione o stagionatura. Una buona lavorazione non poteva prescindere dalla morbidezza della pelle stessa.



La cucitura iniziava dalla coscia posteriore, dalla quale -come abbiamo detto- veniva estratto il corpo dell'animale. La parte del collo diventava, pertanto, l'imboccatura da dove si riempiva l’otre con un imbuto, oppure dal quale si versava il contenuto nelle botti. Tutte le cuciture venivano effettuate con la tecnica della treccia (ancora oggi usata per i palloni di calcio in cuoio, per tenerli gonfi). La tecnica consisteva nell’unire i due lembi di pelle usando due aghi chiamati "zaccurafe"; uno era a punta piccola retta e l’altro a punta larga e leggermente piegata su se stessa. Analoghe attrezzature venivano costantemente usate anche per cucire le borse, i contenitori di palma nana (giummara) comunemente chiamati “zimmili”, le coffe e persino gli zerbini o “stuiaperi”.


Ritornando agli otri, la cucitura a treccia serviva per meglio rendere impermeabile l'otre, essendo un contenitore per il trasporto di liquidi (mosto, olio, acqua). Ognuno conteneva circa 50/60 litri di liquido, ma alcuni erano appositamente fatti più piccoli per contenenti circa 20/25 litri. Un trasporto intero, chiamato “carico”, effettuato con i muli dal posto di produzione al luogo di consumo o del proprietario committente, consisteva in 16 "lanceddi o quartari", unità di misura che si utilizzava per contabilizzare il "carico" che veniva commissionato per il trasporto delle nostre zone. Una “lancedda” corrispondeva di fatto al classico "cafisu", usato ancora oggi per la misurazione dell'olio. Nelle nostre zone, il “cafiso” corrisponde a litri 8 e ¾, mentre, per quanto riguardava il trasporto del mosto o del vino, a litri 140 per essere considerato è pagato come carico completo.

In una gamba anteriore dell'Otre veniva realizzata un'apertura con legata una canna di circa dieci centimetri. A metà della cannula, si praticava un piccolo foro che serviva tecnicamente per fare sfiatare l'otre quando all’interno vi si creavano dei gas. L'otre, per essere completo e adatto agli usi per il quale era stato realizzato, veniva legato con una corda spessa quanto un mignolo circa alla zampa anteriore, così poteva agevolmente poteva essere agganciato sui laterali della “barda" (oppure “varda", in siciliano) del mulo. Solitamente l’operazione di carico veniva effettuato da due persone.


L’otre piccola, chiamata "scupinu", come detto conteneva circa 20/25 litri, veniva legata dalla zampa anteriore a quella posteriore, con due corde fatte di intreccio di lana, questo per la morbidezza della fibra e per evitare danni all'otre. A differenza delle comuni corde di canapa, infatti, quelle di lana se si bagnavano accidentalmente di mosto, rimanevano comunque morbide.

Un otre se fatto bene e trattato con attenzione, aveva una lunga durata e poteva essere utilizzato dal proprietario per lunghissimo tempo. L'otre, dopo essere stato utilizzato, doveva essere asciugato per bene e poi conservato in un luogo possibilmente asciutto. Prima del riutilizzo successivo, era buona prassi che fosse riempito con acqua, così da fargli riprendere l’originaria morbidezza. Dopo una giornata di bagno era nuovamente pronto a fare il suo lavoro.


Articolo a cura di Mario Maimone


Articolo del 09\01\2020;


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