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Francesco Leone, il preside Poeta

Sono molti a Castellammare del Golfo i personaggi che, lontano dalle chiassose ribalte, non curanti del pubblico plauso, hanno scritto importanti pagine di storia “silenziosa”; Francesco Leone è tra questi.

Più universalmente conosciuto come il “Preside Leone”, era nato il 12/01/1928 a Castellammare del Golfo (TP), dove ha vissuto fino all’ultimo dei suoi giorni, il 02/07/2017.

Sposato con la signora Rosetta Ancona, la coppia ha avuto due figli, Ernesto e Giambattista.

Figlio insigne di Castellammare, per il contributo dato alla cultura e alla storia recente della sua comunità, persona colta, di ideali socialisti, oltre al suo ruolo predominante di didatta, Francesco Leone ricoprì per qualche periodo anche quello di uomo politico e delle istituzioni.

Per tutta la sua esistenza uomo di Lettere, nella maturità, ormai affrancato dagli impegni professionali, poté dare spazio alla sua vocazione di poeta, in termini assolutamente convincenti.


Tra le sue pubblicazioni è d’obbligo citare le raccolte di poesie siciliane ‘NA SCALA LONGA, che vide la luce nel 2001, e La divina umanità di l’arti, edita nel 2015. In esse Francesco Leone, per i temi che tratta e per i termini nei quali li tratta, si palesa quale cultore della cultura popolare, fine conoscitore del nostro dialetto, nonché attento e consapevole cittadino del proprio tempo.


Spesso protagonista dei raduni letterari e degli eventi culturali che si svolgevano nella nostra terra, la locale Associazione Culturale “Triquetra” lo ebbe per lunghi anni quale punto di riferimento nell’ambito del “Cenacolo” di poesia siciliana.

Il suo impegno letterario si legò profondamente alla sua visione intellettuale del mondo, sebbene visto attraverso la sua remota “finestra” sita in quel di Castellammare del Golfo.

Per quasi mezzo secolo fu, infatti, giusto lì che organizzò e partecipò a tantissimi concorsi di poesia dialettale e raduni e persino a un festival della canzone siciliana.

Ebbe così modo, anche unitamente al nostro compianto concittadino, poeta e filantropo Zu Pippinu Caleca (1902 - 1997), di fare avvicinare la parte occidentale dell’isola a quella orientale e di incontrare il grande poeta catanese Giovanni Formisano (1878 - 1962) e numerosissimi altri autori provenienti da tutta l’isola.


Ancora oggi, in memoria di Peppino Caleca, l’omonima associazione culturale, della quale il Preside Leone fece parte per lungo tempo, tramanda lo spirito autentico di fratellanza da lui impresso in origine.

Il suo professarsi laico non limitava la sua dimensione spirituale, la sua fede, che egli professava attraverso i sentimenti, le passioni e le emozioni nei riguardi dell’“altro”, della vita e, non ultima, della sua amata terra di Sicilia.


Nel 2015, ancorché già provato, in occasione della messa in scena per fini religiosi della sua opera “Ecce homo” (Via Crucis organizzata dal gruppo parrocchiale della Chiesa Madre di Castellammare del Golfo), egli pure non si sottrasse dal parteciparvi e dal dare il suo commosso saluto all’inizio dell’evento.

La Scuola, tuttavia, nella sua concezione fu occasione di cultura, di incontro, di responsabilità e rimase per Francesco Leone la missione della vita.

La sua dipartita ha lasciato a Castellammare del Golfo un grande vuoto e la sua città non lo ha dimenticato.


Questa associazione, attenta alla storia e alla cultura del territorio, vuole rendere omaggio a Francesco Leone attraverso ciò che di più tangibile ci ha lasciato, la poesia.


La seguente lirica, gentilmente concessaci dal Rag. Nino Pedone cui è stata dedicata allorchè fu Sindaco di Castellammare del Golfo, è inedita e tratteggia un profilo alto della politica locale, anche se celato da pseudo ironia.



LU CUNORTU DI LU FISSA

di Francesco Leone (1977)


Sinnacu meu, dimmillu, comu fai?

Si’ sempri misu ‘n cruci e marturiatu,

sempri anniatu nna un mari di guai,

sutta lu strincituri assuccarratu.

L’amici toi nun su’ cuntenti mai,

e cu’ lu voli frittu e cu’ lardiatu;

e cavuci ti jetta di cuntinu

puru cu’ avissi a stariti vicinu.


Li sacrifici toi nun su’ apprezzati;

custrittu a trascurari la famigghia,

li to’ ‘nteressi sunnu abbannunati,

la to saluti dunni pigghia pigghia.

Si dici no, si sentinu ‘mbrugghiati;

vonnu passata la brusca e la strigghia;

lu sinnacu, ch’avissi a cumannari,

puru la stadda ci avissi a annittari.


Si’ un omu onestu, tuttu gintilizza,

hai la granni pacenza di Tubia,

ma ‘ddi menti riversi cu ‘ l’addizza?

Tuttu cunfunni la cafunaria:

la pacenza la chiamanu dibulizza,

l’onestà passa pi minchiunarìa.

Si chistu ti cunorta, Cicciu Liuni

è comu tia: debuli e minchiuni.


Questa seconda poesia, tratta dalla raccolta “’Na scala longa”, mette a nudo l’aspetto più spirituale dell’autore che non si sottrae dal riconoscere la forza, la preponderanza e la ricchezza interiore di chi, come lui, ha conosciuto e riconosciuto “la fede” come motivo di vita.


LA FIRI


La firi ‘un s’accatta e ‘un si vinni;

cu’ l’avi, teni lu Beni cchiù granni;

sicuri àvi timuni, veli e ‘ntinni,

‘na stidda chi lu guida a leti banni.


Cu’ ‘un àvi firi, confusioni e affanni

e la so varca ‘un sapi ‘unn’attraccari:

lu celu è scuru, li venti tiranni,

lu mari è forti, ed àv’a burdiggiari.


L’omu cridenti canusci lu portu,

lu faru di luntanu lu ‘ntraviri,

nna li timpesti spiranza e cunfortu.


Lu miscridenti viri tutto stortu

e si dispera: picchì, senza firi,

prima ancora di mòriri è già mortu.





A cura di Nicolò Tamburello, un ringraziamento particolare a Rosetta Ancona e ai figli.


Articolo del 08/03/2021


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