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GROTTA DI SANTA MARGHERITA, ANTICA CHIESA DEL MEDIOEVO

(sintesi storica del Prof. Giuseppe Vito Internicola)


La grotta di Santa Margherita, posta su una scoscesa scogliera a poca distanza dal porto turistico, fino ad adesso abbandonata all’incuria e al degrado, è un bene culturale prezioso per Castellammare da tutelare e salvaguardare.

Nel consultare presso l’Archivio Diocesano di Mazara la documentazione delle visite pastorali con sorpresa mi sono imbattuto in un documento che riferisce della Grotta di Santa Margherita.

E’ opportuno confrontarne il contenuto con gli studi pubblicati sulla grotta (dopo la riscoperta avvenuta negli anni settanta del secolo scorso) e con i risultati di più accurate recenti ricognizioni.[1]

Dalla visita pastorale a Castellammare del cardinale Giovanni Domenico Spinola, vescovo di Mazara, svoltasi dal 28 al 30 luglio 1639,[2] così risulta:

“Lo stesso giorno (30 luglio 1639)

Fu visitato il sacello di Santa Margherita, posto circa un miglio fuori dal paese di Castellammare del Golfo, che non ha alcun reddito o obbligo, nel cui altare che è unico si celebra diverse volte durante l’anno e allora si porta via ogni arredo sacro, non volendo celebrare fuori dal detto paese, poiché il luogo è soggetto ai furti. In questo sacello abita un eremita che cura la gestione della chiesa e si procura il vitto, raccogliendo l’elemosina nel detto paese. Per quanto riguarda l‘arredo sacro e il materiale nulla fu imposto considerata la povertà della chiesa”.[3]


Quella del card. Spinola è la prima visita pastorale fatta con accuratezza presso la diocesi di Mazara. Fu descritta in un’ampia relazione, fonte interessante di notizie sui luoghi di culto e sulla vita religiosa locale all’inizio del 1600. [4]

Vennero visitate tutte le chiese di Castellammare. Alla fine fu visitato il sacellum di Santa Margherita non direttamente dal cardinale, ma tramite un suo delegato. Per le altre chiese, infatti, fu annotato visitavit, per questa invece visitatum fuit sacellum.

Siamo dinanzial documento più antico che si riferisce alla grotta (mai il temine, però, è utilizzato nel documento) che era considerata un sacellum, cioè una chiesa di dimensioni ridotte. Era un edificio di culto realizzato in ambiente rupestre come altrove in Sicilia o in Italia Meridionale, nato come eremitaggio, ma frequentato anche dai fedeli per pratiche devozionali. Aveva assunto nel 1639 ufficialmente le caratteristiche di cappella tanto da essere visitato dal vescovo. E’ probabile che ci fosse anche un cappellano.

Riscoperta della Grotta (1970) col pastore Battista Mannina


Ogni volta che ho visitato la grotta ho avuto l’impressione di trovarmi in un nascosto e silenzioso edificio religioso con in fondo una cavità rocciosa molto simile ad un catino absidale.

Recenti accurate esplorazioni nella grotta hanno confermato che l’ingresso (m 5x3) era chiuso da una parete esterna con un porta. Lo attestano parti superstiti di un muretto con uno stipite in conci squadrati. Ci sono tracce anche di una volta in malta e pietrame informe che copriva l’interno o almeno di un rivestimento con gli stessi materiali. Un ciclo piuttosto antico di dipinti rivestiva interamente le pareti della grotta e forse la stessa copertura, di cui è andato purtroppo perso almeno il 70%. Ci sono resti di malte su tutte le pareti. La grotta ha una dimensione massima di apertura di m 4, un’altezza di circa 5 m ed è profonda 18 metri. E’ suddivisa da una strozzatura naturale in due parti. Nella parte anteriore (m 10 X e 5) si possono ammirare i dipinti superstiti.

Ingresso della grotta


Sulla parete ovest ci sono una Madonna col bambino, i resti di un santo con barba e libro (San Basilio?), Santa Margherita affiancata da due angeli ed accanto un mostro marino. Sulla parete est ci sono i resti di una crocifissione, in cui sono ben visibili le mani del Cristo Crocifisso, San Giovanni dolente e forse la Madonna.

Tutti i dipinti, incorniciati da strisce gialle e rosse, appartengono allo stesso periodo storico (forse XII secolo), salvo quello di Santa Margherita che è stato ridipinto ed è più recente. G. F. Purpura ritiene che la Madonna sia confrontabile con l’Odigitria del secolo XII presso la Cappella Palatina, mentre il mostro con gli animali fantastici delle travi trecentesche dello Steri o con la rappresentazione del diavolo sull’albero della vita del portico della Cattedrale di Palermo.

Si tratta di un ciclo di dipinti che ha alla base una unitaria progettazione, non è l’insieme di immagini votive, lasciate dai devoti per grazia ricevuta, quale ad esempio uno scampato naufragio. Le scritte abbreviate (come nei mosaici di Monreale) con i nomi dei santi, accanto alla SS. Vergine e al San Giovanni dolente, testimoniano che non si è dinanzi ad una pittura popolare.

Si tratta di dipinti a secco poiché i pigmenti, dopo essere stati mescolati con calce e acqua, sono stati applicati su intonaco asciutto con l’uso del tuorlo d’uovo come legante.[5] Sono molto vicini come disegno e stile e come uso dei materiali a quelli bizantini e testimoniano molto della provenienza dei primi anacoreti - artisti che nella grotta si stabilirono e li realizzarono. Praticavano la pittura quasi come atto di preghiera e con tocco leggero di colori naturali e linee hanno saputo cogliere l’attimo di affetto della Vergine (eleusa cioè affettuosa) e la sofferenza dell’apostolo ai piedi della croce.

Appartenevano a quel nutrito gruppo di religiosi che seguivano gli insegnamenti di San Basilio, perciò detti basiliani, e che dall’oriente migrarono verso l’occidente, in seguito alle persecuzioni iconoclaste (dal 726) e alle controversie religiose, per garantirsi una vita ascetica serena.

Tali religiosi preferivano l’isolamento, la fuga ed il rifugio in luoghi inaccessibili. Trasformarono a tale scopo grotte ed antri naturali in luoghi di culto (laure), dapprima riservati ad asceti e in un secondo momento aperti alla devozione della collettività. La laura è a metà strada tra eremo e cenobio e vede un ristretto numero di monaci vivere in grotte o capanne raggruppate intorno a una grotta - chiesa comune, come sembra sia avvenuto nel nostro caso.

Santa Margherita (foto del 1970)


Dedicarono questo luogo a Santa Margherita, santa martire molto venerata in oriente. Al titolo doveva effettivamente associarsi il culto per la santa e la presenza di un’immagine sacra che la riproduceva. Il dipinto accostato al mostro marino senz’altro si riferisce proprio alla Santa. Era l’immagine ritenuta più importante della grotta tanto che si decise di ridipingerla, pur utilizzando sempre la pittura a secco e gli stessi materiali. Il ripristino e il rifacimento di una precedente pittura, forse deteriorata, testimoniano senz’altro la continuità del culto per la santa nella cavità.

Tale prezioso dipinto si distingue nettamente dagli altri ed evidenzia chiari influssi del rinascimento italiano. Risalta per la precisione nel disegno, per l‘uso raffinato dei colori e del chiaroscuro.

Ci appare una figura veramente graziosa, pur sciupata dal tempo e dai visitatori della grotta. La santa, dall’aspetto ieratico e nobile, ha il collo esile e slanciato, una fluente chioma castana, la testa leggermente inclinata e la mano destra forse sollevata con la palma del martirio. Gli angeli oranti stanno sopra un muro merlato. E’ probabilmente, come recentemente ipotizzato[6], un’opera della seconda metà del 1400 vicina agli affreschi del pittore palermitano Tommaso De Vigilia (?-1497), che operò molto in Sicilia Occidentale.



Le Sante di Tommaso De Vigilia – Palazzo Abatellis (Palermo)


La parte più interna della grotta, di forma circolare ed in penombra, era rifugio per un eremita e presenta un’escavazione creata nella roccia, ben levigata dal costante uso, per accoglierne il giaciglio.

Nella relazione sulla visita pastorale si annota che l’edificio sacro distava dal paese circa un miglio e che non aveva alcun reddito per eventuali donazioni o legati, né obblighi con riferimento alla celebrazione di messe.

C’era un solo altare. Più volte durante l’anno vi si celebrava la messa, probabilmente il 20 luglio in occasione della festa della santa ed in altra ricorrenza. E’ possibile che la popolazione raggiungesse la chiesa in occasione della posa della tonnara presso la vicinissima punta Pirale, per chiedere la protezione della santa per le attività di pesca, ma anche per auspicare il suo aiuto dai pericoli che il mare presentava, di cui il mostro marino accanto alla santa era un’evidente rappresentazione.

I resti dell’altare posti in fondo alla grotta in posizione centrale ci sono ancora. In passato il Purpura aveva ipotizzato che il tumulo di pietre esistente fosse la deposizione di un santo eremita.

I paramenti e gli oggetti di culto non venivano conservati nelle grotta – chiesa poiché non si intendeva celebrare la messa fuori del paese, essendo il luogo soggetto a rischio di furti. Con l’espressione luogo soggetto ai furti ci si riferiva alla insicurezza generale del territorio spesso vittima di incursioni barbaresche. Nulla fu imposto dal vescovo per quanto riguarda i paramenti ed il materiale di culto, considerata la povertà della chiesa.

E’ sorprendente il contenuto finale nella relazione. Nella grotta abitava (siamo nel 1639) un eremita che aveva cura della chiesa e che viveva dell’elemosina degli abitanti del paese. La notizia conferma l’ipotesi fatta che la grotta fin dalla antichità fosse utilizzata come eremitaggio, come le grotte vicine.


Considerato che la grotta – chiesa si trova su una scogliera a ben 10 metri di altezza rispetto alla costa e non è assolutamente agevole l’accesso dal mare, risulta evidente che un più comodo sentiero allora doveva collegare il paese alla grotta. Il delegato del vescovo visitò la grotta, la popolazione vi si recava per assistere alla messa in alcuni giorni dell’anno ed, inoltre, un eremita faceva la spola tra la grotta ed il paese.

Un muretto di contenimento in pietra di antico assetto, in prossimità dell’ingresso, evidenzia un passaggio ben predisposto in cui si concludeva un sentiero che collegava con il centro abitato e con le altre grotte.

Dopo la visita pastorale del card. Spinola, della chiesa - grotta di Santa Margherita non si riferisce nelle successive visite pastorali. I fedeli continuarono, però, a frequentarla, come risulta da alcuni graffiti di carattere devozionale. Sul dipinto di Santa Margherita sono incise le date 1728 e 1736 accanto a cuori sormontanti da croce. Dopo il 1700 la venerazione per Santa Margherita gradatamente venne meno e la grotta solo occasionalmente fu frequentata da pescatori, cacciatori e pastori.


Anticamente una trazzera (detta marittima) usciva da Castellammare per raggiungere il territorio di Monte San Giuliano. Dalla stessa ad un certo punto si dipartiva il sentiero che, superato il Vallone delle Ferle, raggiungeva la grotta di Santa Margherita. Tale assetto viario fu modificato quando nel 1844 fu costruita la via carrozzabile che da Castellammare andava a Fraginesi. Gli sbancamenti per l’ampliamento della stessa via, diventata SS 187, avvenuti in epoca recente, con lo scarico massiccio di materiali e pietrame, hanno travolto e reso ormai poco praticabile l’antico sentiero.


Grotta vicina di Carvino


* * *

Prima di pensare ad una più ampia fruizione, bisogna riflettere sull’attuale stato della grotta e dei suoi preziosi dipinti. Josue Cardenas ha dedicato uno studio scientificamente accurato sullo stato della grotta e sulle prospettive per un eventuale recupero.[7]

Grotta e dipinti ormai sono in grave condizione di degrado, anche se in origine la tecnica di esecuzione ed il materiale erano di buona qualità. Il confronto delle foto dei dipinti, scattate a distanza di tempo, testimonia con quanta rapidità disegni, colori e bellezza si vanno perdendo. Lo stato di conservazione delle malte e dei pigmenti è molto precario a causa dell’umidità, dell’attività biologica di piante e animali e della stessa attività umana.

Danni notevoli procura la presenza dell’acqua. Fessure e crepe determinano con scoli e filtrazioni il disgregamento delle malte e il graduale deterioramento e distacco dei dipinti. La dissoluzione e ricristallizzazione dei sali creano concrezioni tra gli strati delle malte e sui pigmenti.


Altri danni creano il proliferare di alghe, licheni e muffe, e la presenza di animali che nel tempo si sono insediati nella grotta (in particolare uccelli e pipistrelli). Anche l’uomo ha contribuito al degrado con numerosi graffiti sui dipinti, alcuni incisi e altri prodotti con matite e inchiostri. Durante la presenza saltuaria dei pastori è stato acceso il fuoco e il fumo ha contribuito ad annerire pareti e dipinti. Il pavimento della grotta è attualmente disseminato di frammenti di roccia e di intonaco, di sedimenti di vario tipo e di materiali organici.

Si pone l’urgenza del risanamento e del restauro ai fini della conservazione del sito che riveste grande importanza per la nostra comunità.



Sentiero per Punta Pirale


Premessa indispensabile deve essere il ripristino del sentiero di accesso. Potrebbe far parte di un sistema di sentieri che abbracci l’intera zona, eccezionale dal punto di vista naturalistico e paesaggistico. Si potrebbe pensare che dalla stradina non asfaltata che parte da Castellaccio si diramino sentieri separati per raggiungere la Grotta di Santa Margherita, Punta Pirale e le vasche per la preparazione del garum, ‘Ntesta a la porta, Fossa di Stinco e Cala Bianca. Un sentiero per Punta Pirale, con visioni d’incanto a strapiombo sul mare ed uno stupendo arco in pietra, esiste già, è solo da risanare e rendere più sicuro. Altrove come alla Cinque Terre itinerari similari sono molto apprezzati e frequentati.


L’auspicabile fruizione collettiva della grotta di Santa Margherita deve essere legata ad una più ampia progettazione di tipo territoriale, che preveda la messa in sicurezza di un territorio a forte rischio idrogeologico e la cura, maggiore certamente che in passato, delle vie di comunicazione anche secondarie, spesso solo pedonali (sentieri, mulattiere, antiche trazzere). Al turista si devono offrire, oltre spiagge e strutture balneari, percorsi naturalistici curati ed attrezzati nei luoghi incantevoli che la natura ci ha fornito.

Il recupero dei dipinti deve essere affidato ad una valida équipe di restauratori. Intervento preliminare dovrebbe essere quello di limitare al massimo la presenza dell’acqua. Non si può escludere la predisposizione anche di una barriera fisica, nell’area immediata dei dipinti, onde ridurre l’umidità.

Si dovrà attuare un risanamento generale della grotta, una stabilizzazione dei dipinti mediante il consolidamento dell’intonaco, reintegrando eventuali lacune o vuoti, e delle pellicole pittoriche. Alla fine si effettuerà anche la ripulitura dei dipinti per mezzo di adeguati trattamenti per recuperarne per quanto possibile la visibilità.

Al risanamento del pavimento della grotta deve essere associato un esame dei materiali esistenti, con un preliminare saggio di tipo archeologico. Non è escluso che la grotta, prima di diventare eremo e chiesa, sia stata utilizzata dall’uomo come abitazione o riparo temporaneo.

E’ opportuno che la grotta sia dotata di adeguati sistemi di chiusura e protezione, onde evitare ulteriori danni per mano dei visitatori. L’interno dovrebbe essere visitato solo con guida e su appuntamento.


Grotta vicina di Punta Pirale



BIBLIOGRAFIA

UBALDO MIRABELLI, Grotta di Santa Margherita, Giornale di Sicilia del 11.XI.1976. L’articolo suscitò curiosità a Castellammare ed il Mirabelli tenne una conferenza a cura del Rotary Club.

ROSARIO LA DUCA, L’eremita aveva anche un pennello in La città perduta, IV,1978, 97-99. La tonnara di Scopello, Palermo 1988, pp. 9 ss.

GIUSEPPE VITO INTERNICOLA – SALVATORE CORSO, Storia del paesaggio. Sopravvivenze prenormanne tra Castellammare e Scopello, in La Fardelliana, Trapani 1993, 20-24 (saggio ripubblicato dal Comune di Castellammare del Golfo).

GIANFRANCO PURPURA, Le pitture della grotta di Santa Margherita, in Kalòs, XI, n.6, 30 - 34, nov. - dic. 1999.

SEBASTIANO TUSA, La Memoria del Mediterraneo, in AA.VV. Con i piedi nell’acqua e la testa tra le nuvole, a cura di C. Galante e V. Buccellato, edizione Soc. Operaia di Mutuo Soccorso, Castellammare Golfo 2001

ALDO MESSINA, Le chiese rupestri del Val Demone e del Val di Mazara, Palermo 2001.

SALVATORE GIGLIO, La cultura rupestre di età storica in Sicilia e a Malta, Caltanissetta 2002.

MARTA GALANTE, tesi di laurea La grotta di Santa Margherita, Accademia delle Belle Arti di Palermo, 2011.

FEDERICA COMES, L’architettura eremitica in costiera amalfitana. Specificità e problemi di conservazione. Tesi di dottorato di ricerca 2014. Università “Federico II” di Napoli.

JOSUE CARDENAS PEREZ, tesi Dipinti presso “grotta di Santa Margherita”, Castellammare del Golfo, Sicilia. Uno studio diagnostico mediante analisi dei materiali costitutivi. Programma Mundus Commissione europea, master in Scienze dei Materiali archeologici, Università di Palermo e Sapienza di Roma, 2017.

Conferenza promossa da BC SICILIA (15 settembre 2019): “Gli affreschi della Grotta di Santa Margherita. Stato e prospettive di conservazione, restauro e fruizione”.

ROSARIA ASARO, Castellammare del Golfo. La grotta di Santa Margherita, Facebook 23 set. 2020.



Note: [1] Vedi Bibliografia alla fine. [2] ARCHIVIO STORICO DIOCESANO MAZARA DEL VALLO, Visite Pastorali, 33 – 2 – 1. [3] Il testo in latino : “Eodem die, visitatum fuit sacellum Sanctae Margheritae extra terram Castri ad mare de Gulfo ad miliare circiter, nullos habens redditus nec onera, in cuius altare quod est unicum celebratur aliquoties in anno et tunc asportatur sacra supellex, e dicta terra non celebrare volentibus, cum locus sit furtis obnoxius. In hoc sacello residet remita qui curam gerit ecclesiae et ex elemosinis in dicta terra victum sibi quaeritat. Quo ad sacram supellectilem et materiale nihil decretum fuit attenta ecclesiae paupertate”. [4] Il cardinale Spinola, originario di Genova e nipote del doge Giovan Battista Lercari, aveva percorso una prestigiosa carriera presso la curia romana, rivestendo incarichi di responsabilità. Già arcivescovo di Acerenza - Matera e Luni - Sarzana, resse la diocesi di Mazara dal 1636 al 1646. Si dimostrò solerte esecutore delle disposizioni del concilio di Trento e dei papi, tanto da meritare la nomina a cardinale e quella successiva a camerlengo del Collegio Cardinalizio. [5] I colori venivano ottenuti tramite miscele di ossido di ferro con calce bianca. Sono sette i colori presenti : rosso vivo, rosso scuro, giallo, rosa, grigio, verde e nero. [6] MARTA GALANTE, tesi di laurea citata in bibliografia. C’è molta somiglianza con le sante (in particolare Sant’Agata) di un affresco di Santa Maria di Risalaimi, adesso a Palazzo Abatellis di Palermo. Gli angeli sono simili a quelli dell’affresco di Santa Maria della Stella, in S. Domenico di Alcamo, opera dello stesso De Vigilia. [7] Tesi del master citata in bibliografia, a cui faccio riferimento per alcune proposte per l’intervento di restauro.


Articolo del 25\01\2021;


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