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Immagine del redattoreKernos

Relazione tecnica di Giuseppe Bosco

La realizzazione del Plastico del Castello di Inici, voluto fortemente dalla Kernos, è l’espressione dell’amore che nutriamo per la nostra città, ma anche la dimostrazione che “volere” è “potere”.


Personalmente mi sento di poter dire di aver chiuso un cerchio trentennale, iniziato con la realizzazione del plastico di Scopello (1990), una vera chicca anche se poco conosciuto vista l’infelice ubicazione. Fu per me un battesimo in piena regola nel modellismo storico e paesaggistico. Una fatica non indifferente; tanti sopralluoghi, foto, misurazioni, ecc. fino alla sua realizzazione veritiera di rara bellezza.

Dopo questa immane fatica, un lungo periodo di pausa mi riportò a realizzare galeoni e presepi che pur mi soddisfacevano a pieno ma “contenuti” in un piccolo tavolo da lavoro dentro casa.


Nel 2006 un altro ambizioso progetto: la realizzazione del nostro Castrum ad Mare, com’era all’inizio del XVIII secolo, simbolo principe di Castellammare del Golfo. Iniziai dallo studio di due stampe antiche e poi lui, il castello, il riferimento reale e la sua storia.

Appresi molto da uno storico speciale che ha speso buona parte della sua vita alla ricerca delle fonti, visitando archivi sparsi in tutta l’Italia, acquisendo documentazione storica di fondamentale importanza per il nostro territorio: sto parlando del Prof. Giuseppe Vito Internicola.

Con il suo aiuto mi si chiarivano le idee e l’opera di per sè mastodontica, si ricomponeva quasi per magia. Per la prima volta sperimentai il polistilene, materiale duttile che si presta, quindi, per i lavori di precisione ma anche per realizzare rilievi e assemblaggi vari.


Nel settembre del 2019 conobbi l’Associazione Kernos e da questo incontro ne scaturì un’altra sfida, anzi due. Avrei dovuto realizzare il castello di Baida e quello di Inici.

L’instancabile Prof. Internicola mi fornì, oltre a tanto supporto storico, parecchia documentazione, tra cui una planimetria del 1801, data in cui Re Ferdinando III di Borbone soggiornò nel sito durante una battuta di caccia. Proprio in occasione di tale illustre visita fu rivisitato buona parte del castello, adeguati molti ambienti, adattati alloggi, cucine e realizzate strutture atte a soddisfare le esigenze reali.


Il plastico fu svelato nel piazzale antistante l’ingresso del castello a Baida, alla presenza delle personalità politiche, religiose e una vasta presenza di concittadini: era il 17 luglio del 2021.

Ma, passiamo al soggetto principale di questo evento: il Castello di Inici.

Misura mt. 1,5 per mt. 2,70 ed è realizzato (come i precedenti due altri castelli) in scala 1/50. Sono stati usati i seguenti materiali: polistirene, colle, colori acrilici, erbetta sintetica e non, stampi auto costruiti, matita e tanta, ma tanta, pazienza.


La sua realizzazione ha richiesto quasi due anni di lavoro, tempo spesso sottratto agli amici, ai familiari e alle relazioni interpersonali, mai al mio lavoro. E come sempre tanti sopralluoghi, foto, ricerche documentali, contatti personali con le poche persone che hanno abitato il sito, come il Prof. Vincenzo Vitale (fin da ragazzino abitò all’interno del castello essendo il padre proprietario di terreni ad Inici e dintorni).


Il plastico fotografa il castello com’era negli anni 50 – 60 del secolo scorso. Non vi nascondo che vederlo com’è ridotto oggi è una ferita al cuore che lascia una sensazione di incontenibile rabbia e nel contempo amara rassegnazione.

Molto utile mi è stata la documentazione che conteneva un fascicolo custodito presso l’Uffici Tecnico del comune insieme ad un progetto di recupero e valorizzazione presentato nel 1991 da alcuni tecnici professionisti.


Per me è stata una full immersion in una realtà che ho sentito subito vicina, prossima alla mia diretta esperienza. I numerosi aneddoti raccontatimi, i fatti di vita realmente successi all’interno del baglio mi hanno consentito di entrare virtualmente nell’unità di tempo ormai trascorsa. Grazie anche a queste testimonianze ho scoperto dov’era il forno, il baglio comune, il frantoio, dove alloggiavano temporaneamente i “cinisari” (interi nuclei familiari che si spostavano per lavoro al soldo dei proprietari più facoltosi).

Ma c’era anche uno spazio per i giochi dei bambini (dove crescevano tanti papaveri), la stazione dei Carabinieri, l’ufficio postale, la scuola e il grande “macaseno” degli Alliata con il tetto non con i classici coppi, ma tegole portoghesi su capriate in ferro ancora in parte visibili.


Ho scoperto che c’era la sede della cooperativa agricola (nata a seguito della riforma agraria del 1950), la cappella decorata dai gesuiti, affrescata da Domenico La Bruna e tutto era un brulicare di animali domestici allevati privatamente per il sostentamento familiare.

I residenti avevano acqua a volontà (ai più facoltosi, attraverso dei tubi di ferro, veniva erogata anche nei locali di primo piano) da attingere dalla fontana monumentale che serviva anche da abbeveratoio per gli animali da allevamento o da lavoro.

Crollata l’imponente torre merlata accessibile attraverso delle rampe di scale al cui culmine c’era un accesso esterno probabilmente per richiamare gli uomini dal lavoro o per preavvisare eventuali pericoli.


Tutte queste “notizie” hanno fatto in modo che mi avvicinassi nel giusto modo alla realizzazione dell’opera. E’ un mio vezzo, prima di apprestarmi nella realizzazione di qualcosa, capirne la storia, studiarne il contesto, collocarla il più possibile nel contesto originario.


In oltre due anni di lavoro, inevitabilmente ho impresso nell’opera i miei “alti” e “bassi”, le mie personali preoccupazioni, i miei periodi complicati, l’esperienza Covid, la morte di mia madre e chi ne ha più ne metta. Questo mi ha aiutato tanto a tal punto che stento a fare un bilancio tra quello che ho dato io al plastico e quanto lui abbia dato a me. Ho cercato di dare “vita” alla materia inerte, ma tanta me ne ha ritornato indietro.


Se potessi essere ascoltato dai giovani li spingerei a curare le loro passioni, a trovare il tempo per fare ciò che li gratifica e li fa star bene (anche di più rispetto al cellulare sempre attivo e connesso). Direi loro di riprendere a sognare; come disse Shakespeare “noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita”.


Il progetto che abbiamo sposato come Kernos, di cui faccio orgogliosamente parte, è tutto racchiuso in una breve chiave di lettura “non c’è futuro senza memoria”.


Grazie a quanti mi hanno incoraggiato, ma soprattutto a Dio per avermi consentito di realizzare quest’opera per il dono della manualità e pazienza. Sono felice di condividere questo pezzo della mia vita con tutti i castellammaresi.

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