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Le Fornaci romane

Aggiornamento: 23 gen 2021

Tutto si è manifestato per semplice casualità, come le più grandi scoperte archeologiche. Così sono state scoperte le fornaci romane, a due passi dalla nostra città di Castellammare del Golfo, quasi alla foce del fiume San Bartolomeo, in contrada Foggia, territorio di Alcamo, provincia di ... Segesta(!), come direbbe la dott.ssa Giglio, direttrice del Parco Archeologico di Segesta.


A causa di attività edilizie nella zona, è venuto alla luce un impianto officinale di età romana per la produzione di mattoni e di oggetti di uso domestico, quali anfore, stoviglie e ceramica comune. Il ritrovamento risale al 2003 e immediatamente ci fu un primo intervento di analisi dell’area, a cui seguirono due successive campagne di scavo nel 2004 e nel 2005.

Dagli scavi effettuati dal Prof. Dario Giorgetti, docente di Storia Romana e Topografia Antica all'Università Alma Mater di Bologna, che ha operato assieme agli allievi del corso di Archeologia Navale (sede di Trapani), sono venute alla luce tre fornaci, di cui una completamente distrutta dalla costruzione della strada ferrata. Dagli elementi finora emersi, si pensa che questo impianto abbia mantenuto una lunga attività di esercizio, fra la fine del primo secolo a.C. fino alla metà del V secolo d.C. La loro forma è circolare e solo una presenta un restringimento del piano di cottura.

Quest’ultima fornace ha in buono stato di conservazione sia il praefurnium (da dove veniva inserita la legna da ardere), sia la camera di combustione e il piano di cottura. La presenza di tubuli ceramici cilindrici, che partono dal piano di cottura e fuoriescono dalla calotta di copertura, per far uscire i fumi della combustione e il forte calore, ha fatto pensare agli archeologi, che questa fornace fosse più unica che rara. Dello stesso tipo se ne conoscono poche e si trovano in nord Italia e soprattutto in nord Europa. Si potrebbe trattare, sempre con il beneficio del dubbio, di una fornace cosiddetta “a muffola”, dove le stoviglie, proprio per il loro pregio, non avevano contatto diretto con la combustione e addirittura venivano separate anelli distanziatori.


L’altro dato interessante di questo sito è la presenza di moltissimi frammenti anforari sparsi, la cui forma appartiene a delle particolari anfore (Dressel 21 e 22, vedi nota), che venivano utilizzate generalmente per il trasporto della frutta, come mele, prugne secche e ciliegie, ma che nel nostro territorio sembrano avvalorare l’ipotesi che potessero essere utilizzate per la conservazione e il trasporto di pesce salato, come tonno e sgombri.


Ancor più interessante è l'ipotesi che potessero esserci molte più fornaci di quelle trovate, divise in settori di produzione. Gli studiosi sono arrivati a quest'ipotesi notando l’ampiezza dell’area di lavoro, immaginando la presenza di vasche di depurazione dell’argilla, di piani di lavoro, di botteghe, di magazzini e di case per gli operai, con continui e incessanti turni.


Sempre secondo gli archeologi, sarebbe persino ipotizzabile la presenza di un centro abitativo nelle immediate vicinanze e di conseguenza, che un tale impianto, così fiorente, possa aver fatto parte della proprietà di qualche famiglia di imprenditori o possidenti.



Questo è avvalorato dal fatto che, in una delle fornaci è stato trovato un frammento di bollo, con la scritta MAESI (vedi foto), simile ad altro esemplare trovato sempre in territorio alcamese, e che quindi potrebbe indicare la famiglia dei Maesia come i proprietari dell’impianto.


Una storia affascinante, che merita di essere conosciuta e divulgata, un sito prezioso che deve essere visitato e soprattutto valorizzato, che fa parte integrante della nostra storia economica e politica. Mi auguro, soprattutto, che le università possano di nuovo interessarsi a continuare gli scavi e fare nuove scoperte, per arricchire di nuovi documenti la nostra storia locale.




Articolo a cura di Rosaria Vitale, dott.ssa in Beni Archeologici e Presidente Kernos


Nota bibliografica e foto:

D. Giorgetti, "Le fornaci romane di Alcamo, rassegna ricerche e scavi 2003/2005"



- Nota sulle anfore Dressel 21 e 22:


Queste particolari anfore prendono il nome dall'archeologo che per primo le catalogò nel 1899.


"La forma 21 presenta un profilo bombato, in cui l'assenza di collo rappresenta la principale caratteristica; la bocca è larga, l'orlo spesso; dopo una sporgenza pronunciata sotto il labbro sono attaccate le anse, che si collegano rapidamente al corpo; il puntale è sottile e finisce a punta.

La forma 22, anch'essa caratterizzata dall'assenza di collo, è più piccola; l'orlo è anche in questo caso spesso e presenta una sporgenza al di sotto; solo le anse sono un po' diverse, più angolose e attaccate al corpo al di sopra di una sporgenza."


(Foto e descrizione tratto dagli Atti del Convegno tenuto a Padova il 16 Febbraio 2007 "Olio e Pesce in epoca romana", a cura di Stefania Pesavento Mattioli e Marie-Brigitte Carre)



Articolo del 14\12\2020;

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