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Li Cassateddi - Le Cassatelle (con ricetta)

Aggiornamento: 23 gen 2021

La provincia di Trapani e Castellammare del Golfo in particolare, possono ben dire di vantare il primato gastronomico della “Cassatedda”. Nel marsalese la chiamano “Cappidduzzu” (“cappelletto” in italiano, ma non rende più di tanto), a Mazara del Vallo “Raviola”, mentre a Palermo c’è una variante a base di crema di ceci, cannella e cioccolato. In qualsiasi parte d’Italia è identificata, da chi l’ha mangiata almeno una volta, come “raviolo dolce alla ricotta”.


E’ comunque divenuto un dolce tipico siciliano: semplicemente una sfoglia di pasta farcita di ricotta di pecora. Semplicemente? Mica tanto! Molte persone si vantano di saperle fare, molti vantano ricette miracolose, ma pochi -e dico pochi- riescono ad avvicinarsi alla sapiente mano delle nostre nonne e alla tradizione più datata. Si dice che inizialmente si preparava solo nel periodo di Pasqua o di Carnevale; in verità si preparava quando la ricotta era al massimo della sua bontà, e questo dipendeva dal pascolo e da che cosa brucassero le nostre pecore. Ora si possono gustare tutto l’anno, con quello che ne consegue e tutto quello che si può dedurre.

Nel Decreto del Ministero delle Politiche Agricole del 16/02/2018, all’elenco “Paste fresche e prodotti della panetteria, della biscotteria, della pasticceria e della confetteria”, ai nn. 125, 126 e 127 si legge rispettivamente: “Cassateddi” - “Cassateddi di Calatafimi” - “Cassatella di Agira”. Ufficialmente, possiamo dire, non esistono né “li Cappidduzzi”, né “i Ravioli dolci”, ecc..

Da molte parti si riferisce che il dolce abbia avuto origine nel 1700 a Calatafimi, tuttavia nessuno documenta tale origine. Se così fosse, alla “Cassatedda di Calatafimi” andrebbe un meritato riguardo e una menzione particolarmente lusinghiera.

Noi iniziamo, per puro campanilismo, col dare per scontato che il territorio trapanese può vantare il primato di conservare e preservare questo antico dolce, pur con gli aggiustamenti -voluti o non voluti- che nel tempo si sono acquisiti sia negli ingredienti che nella fattibilità. Ciò premesso, consideriamo del tutto normale che nei decenni succedutesi ci possano essere stati tentativi di mistificazioni, variazioni, vere e proprie estrapolazioni del senso, contaminazioni di ogni tipo.

Viaggiando nel web, con grande orrore per noi trapanesi, incontriamo di tutto: Versione salata, farciture diverse, persino ripiene di pesce o di carne, oppure di paste di ceci a cui si aggiunge zucchero e vino cotto e in altri casi pomodoro o salsa. Così, per chi volesse, può gustarle in brodo come primo piatto, oppure condite con ragù di carne o con l’aggiunta di spezie, prezzemolo, pecorino e via dicendo; è l’aggiunta delle spezie che fa pensare a una sua origine araba. Con la denominazione “cassateddi” passano, inoltre, altri prodotti dolciari, di pasta frolla come li “cassateddi di ficu” (a Castellammare chiamati “cosiduci”), dette anche “cuddureddi”, oppure “buccellati”. Con la farcitura di cacao e mandorle ci sono “li cassateddi di Agira. Come si nota, la nostra “cassatedda” vanta innumerevoli imitazioni essendosi trasformata in tutto e anche di più.


Noi trapanesi siamo aperti a tutto ma, per favore, non chiamateli “Cassateddi”.




Per noi che siamo di Castellammare del Golfo, “li cassateddi” devono essere fatti di:


Per la sfoglia:

Farina 00,

vino rosso o meglio Marsala,

olio d'oliva 

un pizzico di sale


Per il ripieno:

ricotta di pecora,

zucchero.


La maggior parte aggiunge alla farcita gocce di cioccolato (o, meglio, cioccolato tagliato a coltello), olio di semi, zucchero semolato (per la decorazione), o scorza di limone grattugiata, ma sono buonissime anche semplici.


Questo gli ingredienti; ma le quantità?

Proviamo a dare le dosi, considerato che, facendoli e rifacendoli, è tutto aggiustabile secondo i propri gusti. Quindi, per l’impasto: 450 g di farina, 50 g di olio caldo, 2 tazzine di vino caldo. Per la farcitura: 500 g di ricotta, 150 g di zucchero, (cioccolato o scorza di limone a piacere). Per la cottura: olio di semi per frittura, zucchero semolato per la decorazione.


Proviamo a descrivere le varie fasi della preparazione, cominciando dalla farcitura.

La migliore ricotta si può comprare nel periodo a cavallo la Pasqua (forse per questo le cassatelle erano considerati dolci pasquali), questo per via dei pascoli spontanei e di erbe che esaltano certi odori e certi sensori gustativi, tra queste il trifoglio. E’ un’erbacea molto comune nella nostra zona, ma anche apprezzata come pianta officinale in fitoterapia per le sue virtù benefiche. I nostri antenati la consideravano un’erba sacra e miracolosa, essendo un fitoestrogeno naturale, fonte preziosa di molte sostanze nutritive.

La ricotta deve essere compatta e, se fresca, va messa a scolare anche un giorno intero in modo che perda il liquido in eccesso (siero). Poi va schiacciata rigorosamente con la forchetta, così da mantenere una certa consistenza e corposità. Va aggiunto, quindi, lo zucchero semolato con gradualità fino all’atteso grado di edulcorazione del composto. Il tutto andrà a riposare in frigo per almeno un’ora, meglio se due.


Passiamo ora all’impasto. Preferire farina di grano duro da setacciare in modo da eliminare l’eventuale naturale semola. Mescolare con le mani aggiungendo l'olio caldo. Unite il vino e continuate a impastare con le mani, piegando e ripiegando su se stessa la pasta ottenuta. (le piegature sono fondamentali per fare in modo che durante la cottura si formino le tipiche "bolle"). Regolate il vino fin quando l’impasto diventerà quasi lucido, compatto ed elastico. Avvolge con della pellicola trasparente e lasciate riposare a temperatura ambiente per almeno un’ora.


Passate la ricotta al setaccio in modo da ottenere una crema liscia e morbida. Se volete, aggiungete le gocce di cioccolato, meglio se tagliato col coltello in pezzetti piccoli e irregolari oppure la scorza di limone.


Stendere l’impasto fino a ottenere una sfoglia molto sottile (1 o max 2 mm circa, se avete la macchina imperia va benissimo il secondo punto da destra). Ricavare da essa dei dischetti di un diametro di circa 7 - 8 cm circa e posizionate al loro centro il contenuto di un cucchiaio da cucina di ricotta. Il dischetto dovrà essere richiuso su se stesso, quindi è consigliabile spennellare per metà della circonferenza un po' d'acqua. I due lembi del dischetto saranno sigillati con estrema attenzione esercitando una leggera pressione con la punta delle dita, assicurandovi di far uscire tutta l’aria possibile dall’interno. Tagliare i bordi eccessivamente trasbordanti con la rotella da cucina.

Friggete “li cassateddi” immergendole in abbondante olio di semi bollente. Appena assumono la doratura desiderata, adagiarle in un vassoio con della carta da cucina assorbente, così da eliminare l’olio in eccesso. Ancora calde passatele dallo zucchero.


Buon Appetito!


Articolo del 06\04\2020;

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